SINTESI DE “IL COMPROMESSO DINAMICO”/UMANIZZARE IL CAPITALISMO. SETTEMBRE 2015. ABSTRACT. APRIL 2016

Mi è stato chiesto di precisare in sintesi i temi trattati nel mio libro. Ben volentieri accolgo l’invito, ché mi consente di chiarire meglio come nasce il libro nel ‘92 alla vigilia del secondo convegno dei partiti socialisti/socialdemocratici e dei sindacati europei, che avrebbe dovuto tenersi a Roma (il primo convegno si era svolto a Parigi all’indomani del crollo del ‘muro della vergogna’). Il convegno romano fu poi annullato per le note vicende politico-giudiziarie e mediatico-giornalistiche, che si conclusero con la ‘scomparsa’ dopo un secolo di vita del Partito socialista dalla scena politica italiana (su tale ‘delitto politico’, ho già espresso più volte la mia opinione in questo sito).

Dunque quale organizzatore e primo relatore del convegno di cui si parla, il mio fu un lavoro frenetico (di cui il libro risente, e che ognuno può interamente leggere cliccando sulla copertina del libro che compare nel sito stesso). L’idea che avevo in mente era di contestare la tesi sostenuta in quegli anni in un saggio di Ralf Dahrendorf, secondo cui la socialdemocrazia europea aveva esaurito il suo compito storico. Insomma, non si trattava di rispondere a critiche peraltro condivisibili su singoli aspetti della politica socialdemocratica (che so: alcune forme di burocratizzazione del welfare state; l’esigenza di una maggiore considerazione del ruolo e delle esigenze dell’individuo nella definizione delle politiche sociali; e così via); ma veniva messo in discussione il ruolo stesso del polo socialdemocratico-socialista nella dialettica politica dopo il crollo del comunismo internazionale. A quel punto la mia risposta non poteva non riandare alle origini della socialdemocrazia (per sintetizzare: da qui in poi con questo termine intenderò i partiti della sinistra liberale non marxista),e difendere i motivi di fondo che ne giustificavano anche per il futuro il ruolo politico alternativo alle tradizionali posizioni conservatrici (comunque organizzate). Così misi insieme diverso materiale dalla cui selezione sarebbe poi scaturito il libro; che era nelle mie intenzioni distribuire tra i partecipanti al convegno.

Nella presentazione introduttiva al libro, Luciano Pellicani a) distingue con obiettività le posizioni espresse da Dahrendorf da quelle neoliberiste; b) al tempo stesso chiarisce la sterilità e inconsistenza delle posizioni dahrendorfiane; c) ma non si nasconde le difficoltà che incontra la sinistra democratica; d) infine dà un convinto sostegno al mio libro. Mi limito ad alcune citazioni del suo intervento…

La socialdemocrazia, dice Dahrendorf, ha creato un vasto sistema di sicurezza sociale, grazie al quale è stata completata la progressiva conquista dei diritti di cittadinanza da parte degli “esclusi”. Ma, proprio perché è riuscita a realizzare l’inclusione positiva del “proletariato interno” della moderna società industriale, ha esaurito il suo ruolo storico. In aggiunta, oltre a estendere la logica burocratica a vasti settori dell’economia, si è essa stessa burocratizzata, perdendo il suo slancio riformatore. Di qui il suo inarrestabile declino…

Tuttavia Pellicani precisa che la posizione di Dahrendorf non va confusa con quelle neoliberiste; e prosegue: “Dahrendorf è dell’avviso che le conquiste della socialdemocrazia vanno conservate, sia pure nel quadro di un Welfare State debitamente razionalizzato. La sua posizione sembra a prima vista inattaccabile. Sono sotto lo sguardo di tutti le difficoltà in cui si dibattono i partiti dell’Internazionale socialista…”

Pellicani dati alla mano precisa però che non si tratta di difficoltà elettorali, visto che le diverse espressioni della socialdemocrazia nei singoli paesi europei, rimangono pur sempre uno dei poli dell’alternativa democratica; si tratta invece della crisi di un modello operativo capace di differenziarsi dai partiti conservatori; e prosegue…

“E’ accaduto che la crisi del modello keynesiano ha, per così dire, ‘spiazzato’ i partiti socialdemocratici. Li ha privati di un solido sistema operativo per intervenire con efficacia nella società capitalistica, correggendo quelli che sono i suoi difetti costitutivi: le crisi ricorrenti e l’iniqua distribuzione delle chances di vita. Risultato: oggi la sinistra europea è sulla difensiva.

Ma ciò non significa, questa è la tesi centrale del libro di Mario Mezzanotte, che la socialdemocrazia ha perso ogni funzione positiva nella dinamica delle società postindustriali. Dopo tutto, che cosa propone Dahrendorf….Niente o poco più che niente. Quanto meno i neoliberisti un modello alternativo ce l’hanno: lo smantellamento dello Stato sociale e la restaurazione del mercato autoregolato. Ma, se non si vuole imboccare questa strada, cosa che Dahrendorf non intende punto fare, non è dato vedere quale altro assetto istituzionale si profila all’orizzonte dell’Europa occidentale, al di fuori di quello socialdemocratico, basato sulla sequenza logico-temporale: domanda-risposta-conflitto-compromesso…(Sul punto tornerò nel primo capitolo del libro: “La sequenza”)

L’economia di mercato – prosegue Pellicani – nella misura in cui è centrata sul disfrenamento dell’individualismo possessivo-competitivo, ha una logica dissociativa, i cui effetti di lungo periodo potrebbero essere terribilmente negativi. Essa ha bisogno di essere contrastata in qualche modo…

Ebbene: a giudizio di Mezzanotte, solo i partiti socialdemocratici e i sindacati possono contenere la logica anomica del capitalismo. Purché essi ritrovino quella tensione morale che li caratterizzò durante l’epoca in cui riuscirono a umanizzare il capitalismo.”

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Il libro “Il Compromesso dinamico” si articola in tre capitoli: 1) la Sequenza, 2) le Variabili, 3) il Compromesso equo. Il primo capitolo è il risultato di una mia riflessione – dopo una vita trascorsa nel sindacato e in misura minore nella politica, in Italia e in Europa-, riguardo la ‘logica’ dell’azione sociale e politica ‘socialdemocratica’, che ha finito storicamente per prevalere in ambedue i campi di azione. La riassumo in apertura del capitolo in questi termini…

“La storia moderna del progresso umano è la storia delle persone che hanno voluto cambiare per elevare le loro condizioni materiali e di status, richiamandosi agli ideali di libertà, di solidarietà e di eguaglianza; è la storia delle persone che si sono contrapposte a quelle che non volevano un tale cambiamento per non dover rinunciare a una fetta delle proprie ricchezze; e comunque gli ideali sopra richiamati potevano forse essere predicati, ma mai praticati se in una qualche misura mettevano in discussione gli equilibri di potere precostituiti. E’ la storia dei conflitti che ne sono seguiti e dei modi in cui si sono conclusi: mai in modo definitivo, sempre sul punto di ricominciare. La sequenza logico-temporale: domanda-risposta-conflitto-compromesso, sintetizza il processo dal momento in cui nasce la domanda al cambiamento nel senso del progresso sociale, al contrasto tra domanda e risposta che innesca un conflitto, il cui esito è determinato dalla volontà ‘al compromesso’ delle due parti contrapposte e dalla ‘forza’ che rispettivamente riescono a mettere in campo. Se questa sequenza può aiutarci a capire come siamo e dove andiamo, allora vale la pena di approfondire l’esperienza del sindacato, il quale ha interiorizzato tale sequenza meglio di ogni altra associazione e istituzione. E dopo averla perfezionata e codificata, sia giunto a darle la dignità di una filosofia; anche se una vera e propria filosofia sindacale non è stata mai scritta”

In estrema sintesi, sostengo che la ‘logica’ della sequenza va individuata nel conflitto finalizzato al compromesso (possibile). Ciò implica l’accettazione di precisi modi di essere e di operare dei soggetti sociali quando si confrontano. Dunque al di là delle sceneggiate cui accade spesso di assistere, 1) implica, dicevo, non solo il reciproco riconoscimento della pari dignità dei soggetti in conflitto, ma soprattutto la necessità di comprendere il più possibile le persone che si hanno di fronte, le loro ragioni e i vari interessi che le muovono; 2) comunque alla fin fine a una soluzione si deve pur giungere; tuttavia – e questo è il punto -,il compromesso raggiunto non lascia sul campo vincitori in piedi e vinti in ginocchio; 3) e ciò per la semplice ragione che i soggetti che si confrontano danno per scontato che la dinamica evolutiva della società, via via imporrà altri compromessi; 4) importante è cercare di evitare che la corda tirata da ambo le parti per far prevalere il proprio punto di vista, a un certo puntosi spezzi (con conseguenze a cascata imprevedibili e comunque negative per ambo le parti; e questo accade di norma quando non si tengono conto degli interessi più generali rispetto a quelli particolari che legittimamente si perseguono; naturalmente per evitare che un tale evento accada, bisogna essere in due a volerlo). A ben intendere, la ‘logica’ di cui parlo – prospetticamente – comprende anche il compromesso politico tra le idealità progressiste quali punti di riferimento dell’azione della sinistra liberale, e la complessa realtà economico, sociale e politica, con la quale bisogna fare i conti…

Per chiarire ulteriormente la ‘logica’ del compromesso (possibile),nel libro mi sono arrischiato a gettare uno sguardo sul futuro; in questi termini:“ Possiamo infatti immaginare una comunità futura nella quale tutte le attività necessarie al funzionamento della stessa comunità, tranne quelle dirigenti e di comando, siano svolte da androidi provvisti di intelligenze artificiali. Così possiamo prevedere che in quelle comunità, i sindacati, i partiti, le istituzioni come oggi le conosciamo e viviamo, potrebbero non avere più un senso. Ma se in quelle comunità l’individuo avrà ancora un senso, riuscirà a darglielo solo una concezione dei rapporti interpersonali e sociali animata dallo spirito e la logica del compromesso; inteso in questo esempio fantascientifico, come fede nella capacità dell’Uomo a un certo momento del fisiologico confronto conflitto tra gli individui -,di sapersi fermare a riflettere per trovare un accordo, e ciò al fine di non giungere a distruggere se stesso e le sue potenzialità dinamiche…”

Finora ho analizzatole cose dal punto di vista di una sinistra politica liberale non marxista; tuttavia nel testo commento anche le posizioni massimaliste (marxiste e non, presenti anche nel sindacato e nel vario associazionismo) che avversano la logica del conflitto finalizzato al compromesso possibile. Così ho anche commentato quelle posizioni, che al contrario ritengono che la cosa migliore sia lasciar fare l’individuo come ritiene meglio nel suo particolare interesse (poi tutto il resto seguirà automaticamente nel migliore dei modi…).Dunque si tratta di differenti visioni dei rapporti e dei conflitti umani, che hanno una lunga storia e la cui comprensione rinvia al secondo capitolo delle Variabili.

(Riprendo dall’introduzione del capitolo). “La comprensione delle Variabili che condizionano e danno un senso all’agire sociale e politico, richiede l’intervento delle culture specialistiche che il sapere ha suddiviso in: etica, politica, sociologia, economia, psicologia, storia…Infatti nel conflitto politico-sociale entrano in campo variabili quali: l’egoismo e l’altruismo, le regole del gioco politico-istituzionale, le forme di governo (con i relativi orientamenti), la varietà di rapporti della struttura dirigente con la base sociale nei partiti, i sindacati e il vario associazionismo, gli orientamenti della cultura massimalista e di quella gradualista, la stratificazione sociale e le differenti aspettative di ruolo, le oscillazioni tra recessione, stagnazione e sviluppo del sistema economico, i diversi condizionamenti culturali derivanti dall’interpretazione storica dei rapporti umani…In questo capitolo prendo in esame solo alcune variabili, ma è il loro insieme – nel quale persino l’imponderabile Caso può assumere rilievo – che condiziona il conflitto sociale e politico. Si comprende allora come l’unico modo che in una qualche misura consente alle persone – se lo vogliono – di determinare la ‘qualità’ del compromesso, consiste nel prendere parte attiva al conflitto”.

In questo secondo capitolo sviluppo un mio ragionamento tra gli infiniti ragionamenti possibili proponendomi di dare un certo ordine e valore alle ‘variabili’. Per coloro cui interessa, possono leggerne interamente il testo seguendo la procedura che ho indicata. In questa sintesi, ho cercato di mettere a fuoco la complessità del contesto in cui si realizza il conflitto politico-sociale (dico subito che lo stato di salute del sistema economico, è un fattore tra i più importanti: infatti ne va di mezzo anche la dignità della persona, nel senso delle maggiori o minori possibilità che esso offre a ognuno di guadagnarsi un reddito indipendente col proprio lavoro); ma poiché si tratta pur sempre di un compromesso che definisce i corrispettivi economici del lavoro (dipendente o autonomo o comunque definito), a mio avviso due punti rimangono fondamentali: 1) come ho già detto, se vuoi cambiare in meglio, devi impegnarti attivamente in prima persona nella fase del conflitto finalizzato al compromesso; 2) dal punto di vista più generale della sinistra riformista, democratica, liberale, di governo, in una parola: socialdemocratica, devi agire e far sentire la tua voce all’interno di organismi collettivi che perseguono le tue stesse idealità e finalità politiche e sociali; i quali organismi collettivi sono decisivi per ottenere un compromesso sempre più favorevole nel senso del progresso sociale. Naturalmente si tratta innanzitutto di definire gli obiettivi socio-economici concreti e realistici che s’intendono perseguire nel momento dato.

Sul punto insisto anche nella Premessa al libro (che qui ho integrato con un tocco di attualità politica). “Un forte ruolo dei soggetti politici collettivi (partiti, sindacati, cooperazione, varie forme di associazionismo: insomma l’insieme dei movimenti che sospingono verso il progresso sociale) diviene essenziale per contrastare la ‘cultura’ dell’egoismo individualista che il capitalismo inietta fisiologicamente nella società. Il compito specifico del Partito socialdemocratico (ormai è chiaro il significato che annetto a questo termine) è di mediare tra Stato e società, richiamando continuamente l’attenzione degli uomini dalla singolarità alla pluralità della condizione umana. Certo la figura di un forte leader è connaturata alla moderna società dell’informazione nel mondo globalizzato, e rappresenta la risposta adeguata alla domanda di efficienza essenziale per risolvere i problemi che si pongono. Ma quali che siano le capacità del leader progressista, non si vede come egli possa determinare quel continuo cambiamento derivante dal compromesso tra la molteplicità di interessi, di aspettative e di aspirazioni pur legittime che si manifestano nel vivo della società civile, e gli obiettivi di tutela degli interessi generali della gente e del Paese; e ciò senza l’attiva presenza e il continuo agire nella società dei soggetti politici collettivi; i quali se da un canto debbono ‘dialogare dialetticamente’ col leader (cui spetta l’ultima parola; ma se sbaglia, passa la mano), dall’altro è nel loro stesso interesse di attivarsi affinché si superino gli ostacoli che di volta in volta possono frapporsi alla realizzazione degli obiettivi del programma del governo ‘amico’ (sempre se tali obiettivi siano stati condivisi; diversamente, si aprirebbe un altro problema: infatti un conto è il ruolo del partito che esprime il leader, altro di quei soggetti collettivi, in particolare i sindacati, che mantengono la loro autonomia dai partiti). Naturalmente, meglio sarebbe se si remasse tutti nella medesima direzione…”

Nel terzo capitolo, Il compromesso equo, mi sono posto la domanda: dove conduce la ‘sequenza’ che ho descritto, navigando nel mare assai impervio (complesso) delle ‘variabili’? La mia risposta non si propone di indicare la rotta che conduce alla Città di Utopia; ma a una società equa, vale a dire sempre più giusta e più equilibrata.

Riprendo ancora dal testo: “Nella pagina che precede l’Introduzione al libro, campeggia una frase del socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein (parole che comparvero in un suo articolo pubblicato nel 1896 da Neue Zeit, e che all’epoca suscitarono perplessità tra gli stessi socialisti): “Il movimento è tutto; lo scopo finale del socialismo, nulla”. Forse il titolo del libro ‘Il compromesso dinamico’, inconsciamente mi è stato suggerito proprio da questa frase riportata da George D.H. Cole nella sua ‘Storia del movimento socialista’; che riprendeva la lettera di chiarimento inviata allora da Bernstein al partito socialdemocratico tedesco, nella quale affermava che “Egli non era affatto indifferente alla realizzazione finale dei principi socialisti, ma piuttosto alla forma che avrebbe assunto la sistemazione definitiva”.

Il senso più pregnante dell’azione del partito della sinistra liberale, che ho riassunto nella parola socialdemocrazia (e delle altre associazioni collettive indipendenti che ne condividono le idealità socio-politiche), va individuato nelle parole di Pellicani: umanizzare il capitalismo.

Riflessione conclusiva aggiunta al testo. Bob Kennedy, prima che venisse ucciso, tenne un discorso che a mio avviso interpreta con sano pragmatismo americano, il comune sentire di gente come noi socialdemocratici. Naturalmente Bob Kennedy sapeva bene il ruolo fondamentale – per il bene comune -, che gioca lo sviluppo economico. Ma lui mise in luce anche l’altra faccia della medaglia: non lasciarsi abbagliare dal moloch del PIL, poiché “esso comprende l’inquinamento dell’aria… le ambulanze per sgomberare le autostrade dalle carneficine… le serrature speciali per le nostre porte per coloro che cercano di forzarle…La distruzione delle nostre bellezze naturali nella espansione urbanistica incontrollata…. Il napalm e le testate nucleari e le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane…. I fucili e i coltelli, e i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini… Il PIL non tiene conto della salute dei nostri ragazzi, la qualità della loro educazione e l’allegria dei loro giochi… Non include la bellezza delle nostre poesie e la solidità dei nostri matrimoni, l’acume dei nostri dibattiti politici o l’integrità dei nostri funzionari pubblici. Non misura né il nostro ingegno né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per la nostra nazione.  Misura tutto, in poche parole, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta…”